L’Origine dello Zafferano

Dalle leggende ai giorni nostri

La mitologia, solita a costruire le sue leggende su elementi derivanti dal mondo naturale, ci ha narra due storie relative all’origine dello Zafferano (Crocus Sativus): la prima racconta dell’amore di Croco per la ninfa Smilace, amore che gli Dei punirono trasformando Croco in una pianta dal fiore tanto bello quanto prezioso; la seconda attribuisce l’origine a Mercurio che, colpendo male un disco, ferisce a morte il compagno di gara Croco, e dalla terra bagnata dal suo sangue nasce la bellissima pianta.

Queste leggende ne evidenziano l’origine incerta, tuttavia una notizia sicura è che questo fiore è adoperato fin dai tempi remoti per l’arte tintoria e per fare medicamenti ad esempio contro la peste.

Oggi la sua origine è attribuita a paesi dell’Asia Minore, come l’India e la Cina.

Il più antico documento che ne testimonia la conoscenza e l’uso è un papiro egiziano del XV secolo a.C.; inoltre è citato nel “Cantico dei Cantici” del Vecchio Testamento, e da scrittori quali Omero, Ippocrate e Plinio.

Dall’Oriente, nell’VIII secolo, lo Zafferano venne introdotto in Spagna dagli Arabi, e da qui si diffuse poi in Italia e in Grecia.

In Italia l’introduzione è avvenuta nel XIV secolo ad opera di un monaco abruzzese del Tribunale dell’Inquisizione.

A questo punto le fonti storiche forniscono notizie contradditorie.

Nel Medioevo il Crocus Sativus si diffuse in quasi tutte le regioni meridionali, ma veniva coltivato anche in Toscana ed in Umbria grazie alla presenza di un clima e di terreni favorevoli.

Grazie alle vie dei pellegrini, quali la storica Francigena, e alle grandi rotte classiche nel trasporto di merci e culture, che da Roma portavano verso il nord Europa, fu favorita la crescita e la conoscenza di tale spezia.

La coltura dello Zafferano ha mantenuto la sua importanza, anche relativamente alla superficie coltivata, fino ai primi del ‘900.

Successivamente è iniziata una lenta, ma costante, decadenza nonostante l’aumento progressivo dei prezzi al kg pagati alla produzione: tutto ciò è da ricercare nelle mutate condizioni di vita nelle campagne e nella diffusione di surrogati e/o prodotti di sintesi usati dall’industria alimentare.

Nell’ultimo decennio è tornata in auge la coltivazione di questa spezia, tanto da poter parlare di una sorta di “Rinascimento”, grazie all’interesse di giovani, di piccoli e medi imprenditori agricoli: ciò è dovuto al fatto che sono sempre più i possibili usi alternativi a quelli gastronomici, come in cosmesi ma ancor più nella farmacopea in quanto i suoi principi attivi esplicano alcune proprietà rilevanti per la cura di alcune patologie.